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ANTONELLA BELVISO. UNA CONVERSAZIONE APERTA CON IL MONDO

ANTONELLA BELVISO. UNA CONVERSAZIONE APERTA CON IL MONDO

Questo è Belvaso, il nuovo progetto con opere che chiedono di essere vissute, toccate, arricchite dal gesto di chi sceglie di aggiungere qualcosa

Questa intervista fa parte del libro Profili d’Artista (Editoriale Giorgio Mondadori) appena uscito.

 Qual è in sintesi il percorso di Antonella Belviso artista?

Al contrario di come spesso accade, il mio viaggio artistico ha seguito un sentiero alquanto atipico: sono partita dall’astratto per poi approdare al figurativo. Una sorta di cammino al contrario, come se prima avessi parlato in codice segreto e poi, lentamente, mi fossi resa conto che avevo voglia di raccontare in modo più esplicito la realtà. Ho iniziato con una pittura figurativa a olio piuttosto classica e quasi monocromatica, capendo da subito che la mia vera passione era rappresentare le persone. Questo perché i corpi parlano, raccontano, sussurrano verità che spesso le parole non riescono a esprimere. La mia esperienza come pubblicitaria, mestiere che ho svolto felicemente per anni nella vibrante e frenetica Milano prima di tornare nella solare città di Bari, mi ha insegnato che un artista è sempre in bilico tra il proprio istinto creativo e l’inevitabile confronto con il pubblico. Trovare un equilibrio tra il proprio mondo interiore e quello esterno senza snaturarsi, è un’impresa difficile come la camminata di un equilibrista su un filo senza rete di sicurezza. Non sono mancati i momenti di sconforto e di dubbio, in cui ho messo in discussione me stessa e le mie opere, perché l’arte è anche questo: un continuo dialogo tra ciò che senti dentro e ciò che il mondo riflette indietro. Poi finalmente è nato uno dei miei primi progetti, quello che parla proprio di questo conflitto e dei percorsi che facciamo per ritrovarci. Ho chiamato questa serie di opere “Il viaggio della vita”. L’idea si basa sulla ricerca di noi stessi e sul raggiungimento dei nostri obiettivi. I protagonisti di questo viaggio si trovano dentro scatole di cartone nel tentativo di compiere un viaggio verso sé stessi, proprio come fossero spedizioni umane. Attraverso loro ho potuto interrogare anche il pubblico sulle proprie aspirazioni, offrendo su ogni tela la mia personale risposta.

Come si è evoluta la sua arte?

È stato un percorso naturale perché dopo questa fase, ho sentito l’esigenza di esplorare altre strade. “Il viaggio della vita” aveva, dal punto di vista della realizzazione, un limite cromatico: il colore dei corpi e delle scatole si fondevano in un unico universo essendo i toni della pelle molto simili a quelli dei cartoni e questa cosa cominciava a farmi cercare qualcosa di alternativo. Così ho provato a riaffacciarmi sul mondo da quelle scatole (che eppure esprimono la massima libertà concettuale), per esplorare il colore sotto una nuova prospettiva, sviluppando così una tecnica mista, che tutt’ora utilizzo: un accostamento tra la pittura a olio più controllata, che in ciascuna opera rappresenta la parte centrale e realistica, e quella più caotica della colata che ne fa da sfondo. Da questa unione sono nate una serie di opere tra cui alcune che parlano della risata e che nascono da una riflessione sul passato. Ho notato infatti che i personaggi ritratti nei tempi addietro erano quasi sempre seri. Una tradizione che aveva all’epoca motivazioni anche pratiche, perché posare per ore ridendo non era facile o addirittura impossibile a causa della mancanza di mezzi tecnologici come le macchine fotografiche. In più sussisteva anche un problema di scarsa igiene dentale. Ritenendo la risata un grande strumento di liberazione, l’ho valutata un tema interessante.

So che adesso sta lavorando a un nuovo progetto. Qual è e come nasce?

Credo che il mio nuovo progetto nasca da un insieme di esperienze. Inizierei con il dire che da un po’ ho cominciato a lavorare l’argilla e allo stesso tempo a guardare con maggiore interesse magazine di arte e design, a interessarmi della lavorazione del legno e a esplorare altre discipline. Poi un giorno, mi è capitato di trovarmi di fronte all’immagine di una grossa mela di ceramica tridimensionale che, non so come, ha aperto nello stesso istante in cui l’ho guardata una serie di file nascosti da qualche parte nella mia testa. Avete mai visto il film Limitless o anche il film Lucy? Lui prende una pillola, lei riceve una scarica chimica nello stomaco e, all’improvviso, le loro menti, invase da una moltitudine di informazioni, si attivano. Insomma non so se quella mela magica abbia avuto lo stesso effetto su di me, ma è come se tutte le mie conoscenze fossero piombate da destra, da sinistra, dall’alto e dal basso nel mio cervello e si fossero materializzate in quello che oggi è il mio nuovo progetto. Un progetto che sembra quindi avere radici nelle mie esperienze e in quella misteriosa connessione che esiste tra ciò che amiamo e ciò che un giorno diventiamo. Il mio nuovo progetto si chiama “Belvaso” e come anticipavo unisce dei mondi che amo: quello della pittura e quello nuovo della ceramica. Ma non si tratta solo di una fusione di materiali, ma di opere aperte, di un dialogo tra l’arte e chi la osserva e un invito a partecipare alla creazione perché il fruitore ne costituirà parte attiva. Descrivo brevemente l’opera cominciando con il dire che sul fronte vi è il dipinto a olio di un vaso e che tale vaso è circondato da una colata. Sul retro, una struttura in legno, grazie all’inserimento di mensole, ospita uno o più vasi, questa volta veri. I vasi posteriori sono in ceramica o in legno o in altri materiali realizzati in 3d. Essendo impermeabili all’acqua, sono pronti ad accogliere fiori veri, stabilizzati o artificiali. Tra il davanti e il dietro infatti, una o più aperture creano un passaggio, un ponte tra due dimensioni, permettendo alla luce e allo spazio di attraversare l’opera, creando un dialogo tra ciò che è dipinto e ciò che è reale. Ed è grazie a queste aperture che il pubblico può completare l’opera con l’inserimento manuale dei fiori che andranno a prendere acqua dalla parte posteriore, diventando co-creatore ogni volta lo desiderino. È questa un’opera che non si esaurisce nella contemplazione, ma che chiede di essere vissuta, toccata, arricchita dal gesto di chi sceglie di aggiungere qualcosa di proprio. Questo progetto mi ha tenuta sveglia per notti intere cercando di risolvere una serie di piccoli problemi strutturali e ogni ostacolo era una spinta a perfezionare il tutto, finché “Belvaso” ha preso forma.

Quali sviluppi ha previsto per questa nuova visione dell’arte?

Sarebbe bello avere una risposta definitiva, ma l’arte, come la vita, non si lascia ingabbiare in certezze. Posso rispondere parlando di me e di “Belvaso”, di questo progetto che mi assorbe e che, giorno dopo giorno, si arricchisce di nuove sfumature. Il mio obiettivo resta ad oggi banalmente la creazione. Cerco di dare unicità a ogni pezzo e ogni volta che ne realizzo uno è come se dialogassi con lui, come se fosse un’entità a sé che prende vita tra le mie mani. In questo percorso ho scoperto anche un nuovo amore: i fiori. Li osservo, li studio, imparo a conoscerli e a lasciarmi sorprendere dalla loro delicatezza, dalla loro forza silenziosa e dai loro colori incredibili. A livello pratico, ho depositato il brevetto e il desiderio è che questa visione possa diffondersi, che la gente la conosca, la comprenda e la faccia propria. Se c’è una cosa che so di me stessa, è che questo progetto continuerà a trasformarsi. La sua essenza rimarrà fedele all’idea da cui è nata, ma con il tempo potrebbe accogliere dettagli inaspettati, evolvendo proprio come tutto ciò che è vivo. Alcune di queste evoluzioni sono già in corso, piccoli elementi che ho aggiunto e che, presto, spero di mostrare.

 Questa nuova visione può avere un forte impatto internazionale: ha pensato di proporla all’estero oltre all’Italia?

Sì, ci ho pensato. Spero il progetto possa vivere ovunque ci sia qualcuno disposto a dialogare con esso. Lo immagino in paesi creativi e in luoghi dove le persone sentano il bisogno di esprimersi, di trasformare l’ambiente che le circonda con piccoli gesti quotidiani. Dopotutto, cosa c’è di più universale di un fiore? È un linguaggio senza parole, un riflesso dello stato d’animo di chi lo sceglie. Mi piace pensare che qualcuno, in qualsiasi parte del mondo, possa svegliarsi e cambiare un fiore per raccontare come si sente in quel momento. Portare questa visione all’estero significa anche mettere alla prova l’idea in contesti nuovi, scoprire come possa essere reinterpretata attraverso culture diverse, colori diversi, materiali diversi. È un’evoluzione naturale del progetto, un viaggio che immagino come una conversazione aperta con il mondo.

Cosa si può notare del progetto attraverso queste pagine?

 Ho voluto mostrare come le opere possano rinnovarsi e variare grazie all’inserimento di diverse tipologie di fiori. Partendo dalla seconda pagina in alto, si vede il quadro che, appeso alla parete, contiene fiori veri, mentre in basso la foto è del retro con la struttura in legno e il vaso in ceramica. Nella terza pagina l’opera a sinistra cambia aspetto grazie a maestosi fiori stabilizzati. Nella foto a destra ho inserito una seconda tipologia di quadro con un differente sistema di apertura.

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